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A Palermo, all’interno del castello della Zisa, che in arabo
significa la splendente (al-ʿAzīza),
talmente magnifica era ed è questa costruzione del 1165 voluta da Guglielmo I, è
conservata una stele funeraria. È una notizia come tante, quasi una banale
frase di una qualsiasi guida turistica. La stele, dedicata ad una certa Anna
madre del chierico Grisandus, che chissà se mai si sarebbe immaginata di
diventare inconsapevolmente tanto famosa, possiede però una particolarità, che
la innalza da semplice monumento medievale a simbolo universale. La stele è
quadripartita, e in ogni parte viene ricordata la defunta in quattro lingue:
greco, latino, arabo ed ebraico. Cosa significa questo? Non è stato certamente
un mero vezzo erudito da parte del dedicante. Il suo quadrilinguismo è
sintomatico, e rivela, in maniera semplice ma così tanto straordinariamente incisiva, la
natura multiculturale della Palermo normanna del XII sec. Una capitale
splendida e ricca, dove commercianti arabi vendevano tessuti e spezie ai greci
ortodossi o facevano affari con gli ebrei. Una città dove, forse ancora si
potevano sentire gli ultimi muezzin
richiamare i fedeli alle preghiere, e le loro squillanti voci mischiarsi ai
rintocchi delle campane delle chiese cristiane. Una città dove arte e
architetture arabe, bizantine e nord europee si sono fuse insieme, a sancire
l’unione di un continente ormai scomparso: il Mediterraneo. Cosa rimane a noi di tutto ciò dopo mille anni? Mi verrebbe
da dire nulla. Certo, Palermo oggi parla più di quattro lingue, si sono
aggiunte svariate sfumature colorate di pelle, vi sono molti matrimoni misti, i
negozi degli arabi sono un’infinità... ma dove è andata a finire la sua
regalità, la consapevolezza di essere capitale, il suo profondo spirito
culturale? Da qualche parte ci deve essere. Indubbiamente tutto si è
ridimensionato. Mille anni sono lunghi e non si può così facilmente dare
spiegazioni, e non è certo la mia intenzione. Quanti nomi, quante facce ha cambiato questa città: dalla
Zyz fenicia alla Panormus greca-romana, dalla Balaarm araba alla Palermo
moderna. Tante anime che hanno lasciato ognuna la propria eredità genetica. Stenta a rialzarsi Palermo. In questi ultimi decenni, ogni
volta che sembra voglia cambiare pelle, rialzare la testa per mostrare i suoi splendenti occhi, inevitabilmente ricade pesantemente sulle sue ginocchia. Un
dolore lancinante e un urlo sommesso che non esce. Chi la ferisce alle gambe?
Chi le impedisce di rimettersi in piedi? I suoi stessi figli, che la vogliono
aggiogata come giovenca stanca e vecchia, pronta solo ad ubbidire e a
sopportare senza lamenti. Io sono uno di quei tanti figli che se ne è andato di
casa. Guardo questa vecchia madre stanca con occhi teneri, con quella giusta
nostalgia di chi sta lontano. Ma questa distanza forse riesce a darmi la
possibilità di cogliere, con lucida oggettività, ciò che ancora chi abita nel
suo grembo non vuole riconoscere o semplicemente chiude gli occhi per non
soffrire più del dovuto. Da poco ho rivisto Palermo. Le sue strade mi hanno narrato
abbandono e sconforto, gli occhi della gente mi hanno rivelato amarezza e
sconfitta. I vicoli, che un tempo frequentavo e che consideravo alla stregua di
casa mia, tanto a mio agio mi sentivo, sono ormai alla mercé di delinquenti e
mafiosi, che pretendono di ridurre la città a proprio parco giochi, dove sono
loro a fare le regole: pochi che comandano la maggioranza. E se poi, si arriva
al punto di festeggiare ogni sera, tra i vicoli dei quartieri del centro
storico, con fuochi d’artificio la scarcerazione di sei boss mafiosi, il quadro
che va via via delineandosi è davvero macabro e fastidiosamente aberrante.Voglio, comunque, consolarmi con quanto di ancora
splendente questa città riesce ad avere e a dare: fosse pure una piccolissima
parte, nascosta, non considerata dalla massa, che stenta anche a tenersi in
piedi, essa è la fiammella tremolante di un’anima che rimane viva, e fintanto
vi sarà qualcuno che la alimenti, Palermo rimarrà la capitale del Mediterraneo.