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Quando la notte tra il 14 e il 15 gennaio del 1968 i muri delle case si sgretolarono, rivelando tutta la loro fragilità, chissà a cosa pensarono i gibellinesi.

Gibellina dopo il terremoto
Forse che la guerra fredda si era in fine surriscaldata. Che da quelle lontane terre, viste solo qualche volta nel bianco e nero sbiadito di uno dei pochi televisori che erano arrivati in paese, quegli uomini che parlavano straniero avevano schiacciato i loro bottoni. Il pensiero che una probabile terza guerra mondiale potesse avere avuto come punto sensibile da colpire proprio Gibellina, si dissolse facilmente. Era qualcosa di diverso. Non una bomba che veniva dal cielo, ma una forza che veniva dal basso, dalla terra, dal culo della montagna. Era tutto più semplice: il terremoto. La terra si era data una scrollatina, per togliersi un po' di polvere dalle spalle. Poi, improvvisamente, aprire gli occhi e vedersi sopra la testa il cielo stellato. Non più il tetto. Le pareti soltanto brandelli. Le strade non ci sono più, cancellate come un disegno fatto male. La gente inizia ad emergere dai cumuli di macerie. Si guardano con occhi spauriti. C'è chi grida, chi urla alla luna, chi piange solamente, chi non dice niente e contempla il nulla che si è appena creato tutt'intorno. Tutto da rifare. Un mondo che stava lì chissà da quante centinaia di anni inghiottito dalla terra. Vengono in molti per aiutare. Arrivano dal Nord, da paesi che non si conoscevano. Arriva anche la televisione. In paese però non c'è più un televisore per vedere le immagini. Gibellina, insieme agli altri paesi della valle del Belice, diventano famose. Tutta Italia, e forse anche tutto il mondo, impara quei nomi strani, che hanno un sapore arabo. Non c'è nulla da ricostruire.
Porta d'ingresso al cimitero realizzata da Consagra
Si pensa che sia meglio un paese nuovo. Una fondazione ex novo. Una nuova colonia in Sicilia. Quest'isola sa bene cosa vuol dire costruire dal nulla una città. Ce lo hanno insegnato bene i greci e i fenici: per questa terra è una cosa semplice. Semplice, ma non immediata. Bisogna aspettare. Sacrificarsi ancora un altro poco. Per un po' di tempo le nuove case saranno delle tende, quelle militari. E così passano gli anni. Dal nulla sorge la nuova Gibellina, e sembra voltare le spalle a quella vecchia, perché se ne va lontana 11 km. Ma non è così. I Gibellinesi forse abbandonano i ruderi del vecchio paese di malumore, e quando arrivano in questa nuova città, fatta di case basse, nuovissime, di strade larghissime, perché un eventuale altro terremoto non potrà provocare troppi danni – almeno così gli dicono gli esperti –, rimangono un po' interdetti, arricciano leggermente il naso, ma non più di tanto, perché non si può rifiutare un paese nuovo.

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