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Alla ricerca della ricerca della ricerca… Una normale (ma forse falsa) storia trizzufiana

Quando il tempo passò e i giorni rallentarono come passi di bradipo, Y si girò guardandosi la schiena e cercando con lo sguardo di staccarsi le frecce del passato, conficcate da chissà quanto tempo, ma non più doloranti ma soltanto fastidiose.
Non sapeva da quanto camminava nel Deserto del Disgusto. Il tempo si era dipinto di misera relatività.
 Il Santone era appollaiato sulla testa della Giraffa di alluminio e i suoi lunghi capelli erano conficcati nel terreno con tanto di rami contorti e pieni di foglie langhe e lucide, dai quali pendevano dei frutti ben maturi.
 Y arrivò ad un tiro di starnuto. Si fermò, si grattò la punta del naso, si sedette su una radice di capelli aggrovigliati e iniziò a pensare.
Le stelle correvano veloci rimbalzando sul volto della luna. Il sole stanco sorgeva un giorno sì e uno no.
Y pensava nella medesima posizione. Quando aveva fame raccoglieva i frutti maturi che cadevano dalle rami del santone, ne toglieva i quattro strati di buccia e ne gustava la polpa che aveva un sapore di saggezza.
Ci fu un’alluvione, un terremoto e un meteorite precipitò vicino Y, ma lui era troppo intento a pensare: l’alluvione lo dissetò, il terremoto fece cadere una quantità di frutti bastevoli per tre pianeti, il meteorite provocò un cratere dal quale sgorgò una sorgente d’acqua ad una temperatura costante di ventotto gradi, emettendo vapori che mantenevano l’atmosfera perennemente mite.
I pensieri di Y cadevano a terra come dadi, ma i numeri non erano mai quelli giusti.
Quando un millepiedi color meraviglia sbadigliò e l’eco del suo sbadiglio toccò tutti gli angoli del Deserto del Disgusto, Y cambiò posizione, ma i suoi pensieri non riuscivano ad entrare nelle buche del biliardo del ricordo.
Il cielo si strappò e discesero veloci i sospiri delle nuvole.
L’anno svoltò l’angolo con la pesantezza dell’Elefante e Y aveva già i capelli colore alluminio.
Nel lontano paese di Trizzuf, in un giorno pervaso di normalità, nello stesso istante in cui Sasia asciugava i suoi dieci metri di capelli e il capitano delle guardie arrestava l’ultima scimmia ribelle mettendogli le banette (strane manette a forma di banana), due amici di Y, il trans Femmasch e il cane Fidex, si fermarono di colpo e, dopo essersi annusati, si resero conto che Y aveva saltato mille turni della partita di biliardo che durava da un anno. E così, dopo che Femmasch aggiustò il collare di Fidex, i due si incamminarono alla ricerca di Y.
Uscirono dalla città, lasciandosi dietro lo scricchiolio delle grandi porte di cartone che chiudevano le mura di plastica.
Era appena mezzogiorno ma il sole era già tramontato perché quel giorno aveva un altro impegno. La luna si sforzò più del previsto per potere bene illuminare il cammino dei due viandanti, ma si sforzò talmente tanto che sudò e le gocce iniziarono a cadere per terra. Femmasch si precipitò subito dentro un piccolo anfratto, non poteva bagnarsi i capelli che da poco aveva trapiantati, stavano crescendo così bene, innaffiati ogni giorno con succo di liquirizia.
Fidex si scrollò da dosso la pioggia, starnutì e iniziò a leccare i capelli di Femmasch che emanavano un piacevole sapore di the alla liquirizia.
Squarciando il velo denso della pioggia si avvicinò improvvisamente una piccola figura. Si fermò all’entrata dell’anfratto. Fidex arricciò il naso e scodinzolò.
La bambina rimaneva immobile. Femmasch le si avvicinò.
«Ma tu non sei bagnata, come mai?»
«E come mai tu non sei né uomo né donna?»
Fidex rise rotolandosi. Femmasch sparò due occhiatacce verso il cane, ma andarono ad infrangersi su due sassi.
«Come ti chiami?»
«Non conosco il mio vero nome, ma tutti quelli che ho conosciuto mi hanno sempre chiamata Ottimisia.»
Fidex riprendendosi dalle ilari convulsioni abbaiò:
«Io sono Fidex e lei o lui è Femmasch. Siamo alla ricerca del nostro amico Y. Per caso tu hai visto qualcuno che sembrava un po’»
«Nelle mie lunghe passeggiate incontro poche persone… ma forse l’aquila Brilla vi può aiutare… se volete vi accompagno, tanto non ho molto da fare.»
«Ma fuori piove», disse Femmasch carezzandosi i capelli.
«Ma non è vero, io non mi sono bagnata. La pioggia bagna la terra perché ne ha bisogno, ma non può bagnare chi non vuole. Io non voglio e così non mi bagna.»
I tre si avviarono. Ottimisia saltellava canticchiando, Fidex la seguiva scodinzolando e Femmasch trascinava i piedi con poca allegria, il suo umore era zuppo di pioggia come i suoi capelli. Fidex, invece, non era per niente bagnato e questo faceva imbestialire Femmasch. “Quel porco di un cane… ma come fa?!” urlava i suoi pensieri.
Arrivarono alla fine della pioggia. Ottimisia e Fidex iniziarono a ballare freneticamente, a quel punto Femmasch perse le staffe, la sella, le briglie, la condizione del tempo, la sua femminilità e la sua mascolinità, e gridò un «BAAASTAAAA!!!!!!!» così forte che due uccelli lì di passaggio si fermarono in aria dalla paura, un serpente che stava per dare un morso a Fidex si scavò velocemente una tana e cambiò pelle prima del tempo, e a Trizzuf la TV locale diede notizia di un terremoto del sesto grado della scala Ricthel. Fidex rimase pietrificato, Ottimisia con sguardo sereno e sorridente chiese, invece, cosa c’era che lo/la turbava.
«Non si vede… lo devo pure spiegare?!… guarda come sono ridotta!», disse mentre sbuffava con due narici taurine.
Ottimisia non disse altro, le/gli si avvicinò e soffiò sul suo volto. Dopo qualche minuto i capelli di Femmasch erano asciutti come appena usciti dal parrucchiere.
Femmasch per più di un’ora non riuscì a proferire parola che non fosse “capelli” o una frase di senso compiuto che non fosse “è un miracolo”.
Le ore passarono e gli stomaci iniziarono a brontolare. Lo stomaco di Ottimisia emise un piccolo sussurro quasi impercettibile, lo stomaco di Femmasch scrollò solo un po’ il boa di piume di gallina che gli/le fasciava il collo, lo stomaco di Fidex fece, invece, sobbalzare sia i suoi compagni di viaggio, sia tutte le rocce lì vicino. In fine Fidex si sedette e rimase immobile come una statua; riusciva solo ad aprire il muso e a dire con un filo sottilissimo di voce: «fame… fame…» 

In quello stesso attimo, nel momentaneo momento, proprio nel secondo esatto, né uno prima né uno dopo, proprio nel fatidico istante durante il quale tutte le lancette dei secondi di tutti gli orologi del negozio “Il tempio del tempo” nel paese di Trizzuf si fusero assieme alle lancette dei minuti e delle ore, emettendo un unico immenso suono: TAC!, Y si alzò, perché una domanda gli era nata in un cantuccio nascosto tra le pieghe della sua mente. Proprio nello spazio di tempo durante il quale le lancette si mossero, le sue sinapsi ebbero il tempo di elaborare quella neonata domanda, spedirla per tutte le periferie del corpo, come un prodigio da mostrare ad ogni abitante del paese, farla ritornare al cervello e dare i seguenti comandi: battere le ciglia, deglutire, fare leva sulle gambe con l’aiuto di entrambe le braccia per riuscire a mettere in posizione eretta tutto il corpo e urlare:
«Perché?»
Fu dopo quel “perché” che avvenne un caso straordinario, evento questo che sarebbe rimasto all’oscuro di tutta la popolazione mondiale: non c’era un giornalista, una telecamera, e poi non c’era nemmeno Rosalinda Boccaperta, la cui velocità nel diffondere notizie era nota non solo a Trizzuf e a Fuzzirt, ma in tutta la regione orientale; la invitavano in tutte le parruccherie, pagandola con tagli, shampi, messeinpieghe, e lei, prima teneva una serie di lezioni sul tema “il pettegolezzo: evoluzione, usi e modi”, e poi metteva al corrente tutte le permanentate allieve sulle ultime novità. Ma ritorniamo al nostro Y e allo straordinario evento che ebbe modo di vedere solo lui.
Non chiedetemi come sono venuto a conoscenza di questi fatti, mi limito solo a descriverli. Dovreste essere anzi lieti di poterli apprenderli. Vi voglio dare un consiglio: se mai vi trovaste a passare da Trizzuf, ricordatevi che voi sapete qualcosa che loro non sanno, e ciò vi può essere molto utile. Se vi ritroverete un giorno a Fuzzirt state attenti, non vi venga mai in mente di dire che siete a conoscenza di un segreto o di qualcosa che loro non sanno, perché per legge questo è un reato ed è punibile con il taglio degli orecchi.
Quando uscì dalla bocca di Y quell’enorme punto interrogativo, il santone aprì gli occhi, scosse la testa, si guardò attorno, si alzò e con un balzo scese dalla Giraffa di alluminio. I due si guardarono fissamente negli occhi e non batterono ciglia per più di mezz’ora. Poi il santone iniziò a ridere intensamente. Raccolse da terra una pietra che sembrava abbastanza affilata e resistente ed iniziò a tagliare i suoi capelli. Y continuava a guardare senza capire bene ciò che stava succedendo. Il santone, una volta completato quell’anomalo taglio di capelli, iniziò a saltellare con balzi sempre più alti e con acrobazie sempre più ardite: capriole carpiate, doppi e tripli salti mortali, e una volta sola anche un salto quadruplo.
«Io non so come ringraziarti. sono passati trent’anni da quando sono lassù… e da trent’anni non è mai passato nessuno da qui»
 Y stralunò tutto lo sguardo, si lavò a secco la faccia e conficcò le dita tra le sue ciocche ispide.
«Ma io credevo che un santone non dovesse mai, per suo principio, non abbandonare il luogo di eremitaggio?»
«Santone?»
Si sedette a terra incrociando le gambe magre e bianchissime e iniziò una fragorosa risata, corposa; lacrime divertenti iniziarono a cadere.
«Santone io? No, io non sono per niente un santone. Trent’anni fa io venni qui per studiare alcune tipi strani di erbe. Mentre stavo esaminando una pianta… non ricordo nemmeno il nome… beh, non fa niente… dicevo mentre osservavo quella pianta, sentii un verso strano, ma più che un verso era un lamento. Il lamento proveniva proprio da sopra la testa della Giraffa di alluminio. Iniziò allora la mia tragedia. Era un gattino che non riusciva a scendere; così io mi arrampicai. Ma non appena cercai i afferrare il micio, quello scappò, ed io rimasi bloccato da una fitta alla schiena… e rimasi bloccato nella stessa posizione fino a poco fa. Non passava nessuno… rimasi più di un mese senza mangiare, e non so come il mio corpo ha resistito… fino a quando un giorno venne una grande aquila, la mia amica Brilla. L’aquila Brilla, devi sapere, è un’aquila sapiente che riesce a capire la nostra lingua, anche se ancora non la sa parlare… fu lei a salvarmi la vita. Iniziò a portarmi del cibo.»
Proprio in quell’istante passò vicino allo pseudo-santone un lombrico rosa e verde e quello, con un gesto velocissimo della testa, afferrò con la bocca il povero strisciaterra – così come chiamano i lombrichi a Trizzuf – e lo ingoiò.
«Ma la cosa che mi faceva soffrire era il non capire perché nessuno veniva a cercarmi. Era stato tanto facile dimenticarsi di me? Allora decisi di rimanere nella stessa posizione finché qualcuno non fosse venuto qui a svegliarmi. Così iniziai i miei lunghi sonni, a volte di una sola settimana, a volte anche di qualche mese… erano già due mesi che dormivo… ma il tuo urlo mi ha svegliato, mi ha dolcemente svegliato. Per un secondo credevo fosse il verso di Brilla ma poi ho capito… grazie, grazie, veramente grazie.»
Il santone, anzi colui che prima era santone, si avviò per la sua strada.
Non so, e nessuno a Trizzuf mi ha saputo dire cosa successe al santone-naturalista. Y lo guardò andare via saltellando e canticchiando finché non venne inghiottito dall’orizzonte forse per sempre.
Y rimase basito, più immobile della Giraffa di alluminio. Pensò, e continuò a pensare per ore. Si era reso conto del tempo passato e del silenzio che si era formato attorno a lui. Uno sconforto estremo lo pervase. Ad un tratto ebbe un desiderio imprevedibile e difficile da placare: salire sulla testa della Giraffa di alluminio.
Così fu che, senza rendersene conto e senza pensarci troppo, si ritrovò sulla testa della Giraffa di Alluminio.
Da lassù dominava tutto il nulla del deserto del Disgusto disturbato solo dal lamento di qualche bradiconiglio in lontananza o dal fruscio delle turbinose ali dell’alicottero.
Y rimase immobile, seduto a gambe incrociate. Non scrutava nulla intorno a sé; respirava lentamente, quasi a volere rallentare tutto il suo organismo. Aveva gli occhi ma non guardava nessun punto in  particolare.
Le parole dello pseudo-santone lo avevano colpito, non tutte in verità, solo alcune. Quelle parole si rincorrevano nella sua mente moltiplicandosi. E tutta quella folla di parole lo allontanavano per sempre da tutto ciò che era stato il suo passato.
 “Nessuno è venuto a cercarmi, nessuno si ricorda più di me. Forse non sono stato mai davvero importante, così da non riuscire a diventare nemmeno un esile ricordo nelle memorie di qualcuno. Sono stato solo un ombra; camminavo e nessuno mi notava, parlavo e le mie parole venivano dimenticate o persino non ascoltate… le risate, gli starnuti, le serate giocate a biliardo con i miei amici, nulla di ttutto questo è rimasto negli occhi degli altri. Però io tutte queste cose le ricordo benissimo. Ma loro? Non so nemmeno quanto tempo è trascorso, ma non importa ormai, un’ora o un anno è lo stesso.”
Rimase così immerso in quei pensieri, mentre da lontano una gigantesca aquila planando si avvicinava verso la Giraffa di alluminio.
Brilla si appollaiò sulla testa di Y, come era solita fare con lo pseudo-santone. Tutto fu naturale, come se quei due esseri facessero quei gesti da millenni: Y si lasciò imboccare dalla gigantesca aquila, ingurgitando un grassoccio strisciaterra senza batter ciglia, senza alcuna espressione di disgusto.
Erano tutt’e due contenti: l’aquila, che forse in cuor suo s’era accorta della appariscente differenza, lasciò che il mondo girasse alla stessa maniera, senza traumi, in fondo un santone o l’altro quale differenza poteva fare, un santone è sempre un santone; Y si era totalmente immerso in quel nuovo ruolo, si era quasi convinto che fossero passati diversi anni, e la sua convinzione era talmente determinata che convinse anche i suoi capelli: dopo un giorno erano già lunghi sei metri, per non parlare della barba.

Femmasch sapeva bene che Fidex non avrebbe resistito più di un ora, doveva in qualche modo mangiare. Ma dove? Ma soprattutto cosa? Guardò verso Nord ma vide solo il limitare della grande foresta di cactus senza spine; guardò verso Sud ma si scorgeva solo la grande spiaggia senza mare; ad Est c’era il paese di Trizzuf e dopo quello di Fuzzirt, e a Ovest… già, e a Ovest cosa c’era? Non lo sapeva, ma forse, in qualche modo, dato il caso e le probabilità… poi perché bisognava essere proprio sfortunati… sicuramente, ma non ne era certa/o, ma ci sperava, forse ad Ovest, qualcosa, naturalmente sempre con la massima cautela, qualcosa, ripeteva, da mangiare la si poteva trovare.
Femmasch decise, dopo alcuni minuti di consulto con Ottimisia, che l’unica direzione da prendere era proprio quella verso Ovest. Ottimisia non ricordava bene, ma disse a Femmasch che in quella direzione sapeva di un boschetto dove crescevano dei frutti gustosi.
«Anche se non ricordo non fa niente, sono sicura che qualcosa troveremo, e poi la Fortuna ci verrà in aiuto.»
«Ma non si può risolvere tutto con la fortuna… mia cara bambina sei troppo ingenua devi capire.»
«Io non sono ingenua, e poi non mi chiamare bambina.»
 Ottimisia iniziò a piangere, un pianto che iniziò a risuonare per tutto il deserto. A quel punto il cielo si rabbuiò e, come chiamate dal richiamo del padrone, le nuvole si radunarono sulle loro teste, cominciando anche loro a piangere. Nuovamente i capelli di Femmasch iniziarono a distribuire intorno il solito profumo alla liquirizia che tanto piaceva a Fidex. Femmasch avrebbe voluto scappare per potersi nascondere, avrebbe voluto urlare fino a farsi sanguinare la gola, avrebbe voluto ritornare nella sua bella casetta e tuffarsi tra i suoi morbidi peluche. Ma dopo essersi rassegnato/a doveva risolvere quella assurda situazione. 

Femmasch dovette tenere al guinzaglio il proprio orgoglio e chiedere scusa a Ottimisia. Tra la sillaba scu- e quella –sa, proprio in quel brevissimo spazio di esitazione che saltellò dalle labbra di Fammesch per spiaccicarsi a terra, il volto di Ottimisia risorse in un sorriso pieno di gioia e felicità. Femmasch allargò le braccia e, voltando la schiena, cercò di reprimere nella stretta dei propri pugni la sua rabbia.
La rinata felicità di Ottimisia si trasformò in una idea per placare la fame di Fidex.
«Ho trovato! So dove trovare del cibo, o qualcosa del genere, per il povero Fidex.»
«Ma qui non c’è niente, te ne sei resa conto o no?»
«Certo. Ma bisogna vedere bene… anzi, guardarti bene.»
Femmasch non rispose, rimaneva senza espressione mentre la pioggia continuava il suo logorante lavoro.
«Ma non hai capito?» continuò Ottimisia. 
Si mise a girare intorno, sotto lo sguardo distratto e quasi senza curiosità di Femmasch. Quasi senza curiosità, poiché il lato femminile di Femmasch in queste occasioni cercava di prendere il sopravento, ma doveva fare i conti con il lato maschile: un occhio, quello femminile, correva dietro Ottimisia cercando di capire ciò che stava facendo, l’altro, quello maschile, se ne infischiava altamente, anzi rimaneva chiuso, cercando di riposarsi.
Ottimisia scomparve dietro un masso gigantesco che aveva la forma del Maiale Vanitoso[1]. Improvvisamente ritornò con in mano la pelle secca di un porcospino calvo. Ne fece una specie di ciotola – in effetti la pelle del porcospino calvo è facilmente plasmabile. Si avvicinò a Femmasch, le/gli prese i capelli strizzandoli forte, attorcigliandoli in più giri, finché iniziò ad uscirne un liquido nerastro, che la bambina  raccoglieva nella ciotola. Femmasch iniziò ad urlare e a insultare la bambina.
Ottimisia, colmata la ciotola, si precipitò verso Fidex e gli fece bere tutto il succo di liquirizia strizzato dai capelli di Femmasch. Il trans rimase a guardare la scena senza riuscire a capire, a pensare, a proferire qualche parola che fosse giusta o sbagliata, rimase soltanto ad accarezzarsi i capelli. Finito di bere Fidex si riprese tutte le forze e, nell’euforia della rinata energia, si gettò su Femmasch iniziando a leccarle/gli i capelli.
Femmasch, Fidex e Ottimisia contarono 446,5 tramonti e 440,5 albe: un paio di volte il sole si era dimenticato di sorgere, ma aveva rimediato nel tramontare.
Raccontare tutto il loro lungo viaggio non è facile, anzi per dire la verità è praticamente impossibile; non sono riuscito a reperire il materiale relativo a quel periodo. A Trizzuf nessuno seppe dirmi altro, tranne il finale della lunga strada dei tre.
Un giorno Ottimisia si svegliò più ottimista del solito e questo diede inizio ad una giornata nera per Femmasch; il trans non sopportava nulla di quella bambina, anche se era cresciuta una punta di simpatia.
Naturalmente, Femmasch sapeva bene che qualsiasi cosa prevedesse Ottimisia questa si avverava puntualmente; per metà del viaggio il trans sperò che qualcosa potesse andare storto a quella strana ragazzina, così da poterla deridere un po’, in fine dovette rassegnarsi, senza nessuna soddisfazione.
Quel giorno qualcosa successe, e successe perché ormai era tempo che questa storia finisse.
Non si sa per quale motivo, ma l’aquila Brilla planando piano si fermò proprio di fronte ad Ottimisia. Le due si guardarono, si guardarono, si guardarono, ma nulla successe per svariati minuti; le due si guardavano, mentre Femmasch e Fidex guardando quei due che si guardavano, si guardavano anche loro scambiandosi occhiate di dubbio.
«Brrrrrrrrrrriiiiiiilllllllllaaaaaaaaaaa» urlò Ottimisia. Con la serie di R sgombrò il cielo da tutte le nuvole per un mese intero, con la A riuscì ad emettere degli ultrasuoni che si propagarono per chilometri fino a Trizzuf, facendo impazzire tutti i cani – Fidex era svenuto –, e risvegliando per un breve secondo l’udito di Nonno (Nonno era il più anziano del paese e tutti lo chiamavano così, perché il suo vero nome si era perso nella memoria di tutti e anche lui non lo ricordava più).
«Ah ah ah…. Ah ah, ah ah ah, ah. Ah ah ah ah» rispose Brilla.
«Anch’io sono tanto contenta… sì è proprio vero, è passato tanto.»
«Ah ah, ah ah ah ah ah ah ah, ah….»
«In effetti è strano… sono alla ricerca di uno… anzi questi sono i suoi amici Femmasch e Fidex» si rivolse verso quei due che rimanevano a bocca aperta, stupiti.
«Ah ah, ah ah» disse Brilla rivogendosi a Femmasch e a Fidex, ma i due non rispondevano, non sapevano cosa rispondere, e cercarono le parole adatte nel volto di Ottimisia.
«Non la capite? Ha detto che è molto lieta di conoscervi.»
Brilla e Ottimisia ebbero una lunga conversazione, ma non essendoci traduttori lì vicino non so cosa si dissero.
Femmasch e Fidex rimasero in silenzio, non avevano più voglia di parlare, troppo stanchi per cercare di pensare, quasi non ricordavano più perché erano lì, in quel deserto che non aveva fine.
Ottimisia si rivolse infine verso Femmasch con un sorriso risolutore, ma lei/lui rimase immobile senza espressione, quasi atona/o nel volto e nella voce.
«Brilla sa come possiamo trovare Y. Bisogna andare a chiedere al Santone della Giraffa di alluminio, lui sa tutto, e saprà dirci sicuramente dov’è.»
 Femmasch la guardava, la guardava e continuava a guardarla, poi si mise a ridere, una risata feroce, ma che aveva anche qualcosa di disperato.
«Va bene. Io non ce la faccio più, non sopporto più di stare in questo deserto… e i miei capelli… guardali… a furia di strizzarli per fare bere quello stupido cane stanno cadendo tutti… sì, andiamo da questo benedetto santone.»
Brilla spiccò il volo e i tre s’incamminarono seguendola.
I piedi di Femmasch non avevano più né la bella pelle bianca né più la potenza di qualche tempo fa, erano sporchi, avvizziti, pieni di pustole verdastre che piacevano tanto a Fidex, goloso nel leccarle, nel succhiarle nonostante i calci che il trans gli scagliava.
Il tramonto li accompagnò sotto la Giraffa di alluminio. Il santone se ne stava seduto immobile, ieratico; non si riusciva a capire se respirava o no.
Ottimisia disse che dovevano aspettare lì, aspettare che il santone si svegliasse per poterli aiutare.
I tre si sedettero. Dopo cinque minuti Fidex si era già addormentato; Femmasch iniziò a pettinarsi i capelli, a tagliarsi le unghie, a mettersi varie creme sul viso, e Ottimisia giocava con uno strisciaterra.

La strada era finita e Y, il nuovo santone, continuava a dormire, nella speranza che qualcuno venisse a cercarlo. Femmasch e Fidex rimasero ad aspettare nella speranza che il santone potesse dirgli dove si trovava il loro grande amico Y.

Qualcuno a Trizzuf mi disse che Femmasch, Fidex, Ottimisia e Y stavano ancora lì ad aspettarsi; qualcun altro sostiene che morirono dopo qualche anno; altri ancora sono certi che anche Femmasch, Fidex e Ottimisia salirono sulla Giraffa di alluminio diventando anche loro dei Santoni.
Non ho mai capito se la storia che vi ho raccontato sia vera o no, anzi per dire la verità ne dubito un po’, visto che nel paese di Trizzuf, mentre cercavo informazioni proprio su questa storia, ogni tanto credo d’aver visto passeggiare un trans, una bambina e un cane al guinzaglio.



[1] Era questo un animale molto diffuso secoli prima nel Deserto del Disgusto. La leggenda narra di come un semplice maiale un giorno si ritrovò, per uno strano caso, una bellissima ghirlanda di bacche dietetiche sulla testa. Un giorno, passando da una pozzanghera si vide riflesso e si piacque talmente tanto che diffuse questa moda tra tutti i maiali del deserto. I maiali iniziarono a vantarsi della loro presunta bellezza, diventando presuntuosi e antipatici; in fine i maiali vennero sterminati dagli altri animali del Deserto, perché la loro vanità era diventata insopportabile.

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