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Lezioni di legalità nel carcere di Matera - 2

Ingresso principale del carcere
www.trmtv.it/home/cultura/2010_06_17/10908.html
Dentro il carcere il tempo è diverso. Il tempo ha una scansione lenta e ripetitiva. Nessuno si preoccupa dell’orario, ma solo degli appuntamenti fissi: il pranzo, la cena, la partita di calcetto, la lezione di informatica, il turno in cucina. La giornata è suddivisa in base a questi appuntamenti. Non importa in che ora vengano fatti. È importante invece la scansione temporale della carcerazione. Se chiedi ad un detenuto da quanto tempo sta rinchiuso, o fra quanto uscirà, non ti risponderà mai in modo vago, ma precisando in anni, mesi e giorni. Questo è il solo tempo che importa. Il resto non ha senso. Le giornate sono uguali a se stesse. Lungo i corridoi i detenuti sembra facciano sempre gli stessi gesti. Ma è una percezione deformata dalla mia concezione del tempo. Tra un incontro e l’altro trascorre una settimana, a volte anche due. Allora credi che tutti si siano fermati nel momento in cui tu hai voltato le spalle e sei uscito dal cancello principale. Non è poi così facile riuscire ad immaginare cosa accada realmente durante tutta la giornata, perché quando sei lontano dal carcere ci pensi poco.
Il carcere, al suo interno non è proprio come me lo aspettavo. Le immagini che ci fanno ingurgitare i telegiornali e i giornali sono sempre le peggiori che si possono trovare in giro. Tutto sembra buio e puzzolente, sporco e violento. A pensarlo, il carcere ha più l’aspetto di uno di quei vecchi manicomi, piuttosto che di una “Casa Circondariale”, come vengono chiamate ora. Senza fraintendimenti, non sto qui a perorare la causa dei centri di detenzione, anzi tutto il contrario.
Anche il piccolo carcere di Matera soffre gli stessi problemi di tutti gli altri; e tra le piaghe la peggiore, così come mi dicono gli educatori, è il sovraffollamento. Ma non è certo questo il problema che affligge principalmente i detenuti di Matera.
I corridoi sono sempre puliti, lucidi, disinfettati, hanno il sapore dell’ospedale. Le classi, dove avvengono i nostri incontri, sono sempre ben ordinate. Le sedie e i banchi sempre al loro posto. I detenuti, che da ora in poi chiamo i ragazzi, hanno un rispetto maniacale per tutti gli oggetti del carcere. I ragazzi hanno una gentilezza e una cortesia antica. Per loro il saluto, con strette di mani e baci sulle guance, è un obbligo assoluto. Potrebbero salutarti anche tre o quattro volte. Il contatto fisico stabilisce, fin da subito, un legame profondo.
È un via vai di ragazzi, guardie, professori. Alcuni hanno fretta perché in ritardo alle prove musicali che si tengono nel piccolo teatro. Altri inseguono i professori per farsi correggere un tema o il compito di matematica. Se non dovessero ritornare nelle proprie celle, questo piccolo angolo del carcere sembrerebbe una scuola superiore dove si trovano molti ripetenti.

Il primo incontro è strano. Insieme a me c’è Chicca, la referente della provincia di Matera di Libera. Con lei farò questo viaggio. Chicca è una ragazza che crede profondamente in ciò che fa. Lo fa sostenendo dei sacrifici immensi. Quando parla, si percepisce una sapienza e una competenza ormai ben stratificate in lei.
Il film che proiettiamo non si sente bene. Io lo conosco e ne anticipo mentalmente tutte le parole. Ma mi chiedo come facciano a capirlo la maggior parte dei ragazzi, visto che non sono italiani. Sì, più della metà dei detenuti sono stranieri. Probabilmente divisi in parti uguali tra africani di varie nazioni e europei dell’est. E poi gli italiani, soprattutto napoletani. Tra di loro c’è anche un palermitano, un mio concittadino.

Il film procede. Sullo schermo il sindacalista Placido Rizzotto combatte il mafioso Luciano Liggio. I primordi dell’antimafia. I ragazzi sono poco attenti. È forse la scarsa qualità dell’audio che impedisce la concentrazione? Forse. O forse, poco interessa. Poi però il brusio generale si blocca. Sullo schermo Luciano Liggio è intento a stuprare la fidanzata di Rizzotto. Allora tutto è diverso. Mi diranno alla fine del film, nel poco tempo che rimane per imbastire un dibattito, che è stata proprio quella scena che li ha colpiti di più. Una donna non si tocca. Ci sono dei reati, che sono quasi tabù per i carcerate. Lo stupro della donne e la pedofilia sono solo abomini. Non possono essere considerati reati. Gli uomini che commettono questi atti li schifano loro. E per queste bestie ci vorrebbe la condanna a morte, mi dicono. Il dibattito sembra prendere la piega giusta. In fondo, non ci interessa tanto parlare del film. Le nostre priorità sono cambiate. Abbiamo intuito che questi ragazzi vogliono parlare di loro, delle loro vite, delle loro pene, dei loro reati. Ma oggi non c’è più tempo. È arrivata l’ora di pranzo. La guardia, che per tutto il tempo del film è stata seduta vicino alla porta, inizia a fare fretta. La guardia ha fame. I ragazzi no. Loro vogliono parlare. Quasi non danno retta alle sollecitazione della guardia. Alla fine però le regole sono regole, bisogna rispettarle. Si scusano mentre ci stringono le mani, ci baciano sulle guance, e uno dopo l’altro si avviano verso le proprie celle.   

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