Ingresso principale del carcere www.trmtv.it/home/cultura/2010_06_17/10908.html |
Il
carcere, al suo interno non è proprio come me lo aspettavo. Le immagini che ci
fanno ingurgitare i telegiornali e i giornali sono sempre le peggiori che si
possono trovare in giro. Tutto sembra buio e puzzolente, sporco e
violento. A pensarlo, il carcere ha più l’aspetto di uno di quei vecchi
manicomi, piuttosto che di una “Casa Circondariale”, come vengono chiamate ora.
Senza fraintendimenti, non sto qui a perorare la causa dei centri di
detenzione, anzi tutto il contrario.
Anche
il piccolo carcere di Matera soffre gli stessi problemi di tutti gli altri; e
tra le piaghe la peggiore, così come mi dicono gli educatori, è il
sovraffollamento. Ma non è certo questo il problema che affligge principalmente
i detenuti di Matera.
I
corridoi sono sempre puliti, lucidi, disinfettati, hanno il sapore
dell’ospedale. Le classi, dove avvengono i nostri incontri, sono sempre ben
ordinate. Le sedie e i banchi sempre al loro posto. I detenuti, che da ora in
poi chiamo i ragazzi, hanno un rispetto maniacale per tutti gli oggetti del
carcere. I ragazzi hanno una gentilezza e una cortesia antica. Per loro il
saluto, con strette di mani e baci sulle guance, è un obbligo assoluto. Potrebbero
salutarti anche tre o quattro volte. Il contatto fisico stabilisce, fin da
subito, un legame profondo.
È un
via vai di ragazzi, guardie, professori. Alcuni hanno fretta perché in ritardo
alle prove musicali che si tengono nel piccolo teatro. Altri inseguono i
professori per farsi correggere un tema o il compito di matematica. Se non
dovessero ritornare nelle proprie celle, questo piccolo angolo del carcere
sembrerebbe una scuola superiore dove si trovano molti ripetenti.
Il
primo incontro è strano. Insieme a me c’è Chicca, la referente della provincia
di Matera di Libera. Con lei farò questo viaggio. Chicca è una ragazza che
crede profondamente in ciò che fa. Lo fa sostenendo dei sacrifici immensi. Quando
parla, si percepisce una sapienza e una competenza ormai ben stratificate in
lei.
Il
film che proiettiamo non si sente bene. Io lo conosco e ne anticipo mentalmente
tutte le parole. Ma mi chiedo come facciano a capirlo la maggior parte dei
ragazzi, visto che non sono italiani. Sì, più della metà dei detenuti sono
stranieri. Probabilmente divisi in parti uguali tra africani di varie nazioni e
europei dell’est. E poi gli italiani, soprattutto napoletani. Tra di loro c’è
anche un palermitano, un mio concittadino.
Il
film procede. Sullo schermo il sindacalista Placido Rizzotto combatte il
mafioso Luciano Liggio. I primordi dell’antimafia. I ragazzi sono poco attenti.
È forse la scarsa qualità dell’audio che impedisce la concentrazione? Forse. O
forse, poco interessa. Poi però il brusio generale si blocca. Sullo schermo
Luciano Liggio è intento a stuprare la fidanzata di Rizzotto. Allora tutto è
diverso. Mi diranno alla fine del film, nel poco tempo che rimane per imbastire
un dibattito, che è stata proprio quella scena che li ha colpiti di più. Una donna
non si tocca. Ci sono dei reati, che sono quasi tabù per i carcerate. Lo stupro
della donne e la pedofilia sono solo abomini. Non possono essere considerati
reati. Gli uomini che commettono questi atti li schifano loro. E per queste
bestie ci vorrebbe la condanna a morte, mi dicono. Il dibattito sembra prendere
la piega giusta. In fondo, non ci interessa tanto parlare del film. Le nostre
priorità sono cambiate. Abbiamo intuito che questi ragazzi vogliono parlare di
loro, delle loro vite, delle loro pene, dei loro reati. Ma oggi non c’è più
tempo. È arrivata l’ora di pranzo. La guardia, che per tutto il tempo del film
è stata seduta vicino alla porta, inizia a fare fretta. La guardia ha fame. I
ragazzi no. Loro vogliono parlare. Quasi non danno retta alle sollecitazione
della guardia. Alla fine però le regole sono regole, bisogna rispettarle. Si
scusano mentre ci stringono le mani, ci baciano sulle guance, e uno dopo l’altro
si avviano verso le proprie celle.
Nessun commento