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La Luna di Barbara Balzerani nel cielo di Matera (28 giugno 2013)

Barbara Balzerani (foto di Andrea Semplici)
Avrei dovuto scrivere queste pagine qualche giorno fa, come si dice “a caldo”. Stranamente, però, non sono proprio riuscito a buttare giù nemmeno una parola. Pensieri tanti, invece. L’elaborazione sulla serata della presentazione del libro di Barbara Balzerani, Compagna Luna, mi è risultata lenta e laboriosa. Non so bene quello che voglio scrivere. Proseguendo sono convinto che le parole arriveranno. La scrittura, a volte, assomiglia ad una diga crepata; le parole se ne stanno ferme, sbarrate da una muraglia; ne escono poche dalla crepa. Ma più quelle escono più la crepa si allarga e, in fine, la diga va in frantumi e le parole travolgono ogni cosa. Lascio che la crepa si allarghi poco alla volta, senza fretta.

Come al solito non farò la recensione del libro. Non racconterò tutta la vita di Barbara Balzerani, non ne ho le competenze, ed è più facile trovare la sua biografia su internet o su tanti libri. Troppo famosa, troppo citata, troppo lunga e importante la sua vita per poterne fare un riassunto impacciato e scarno.
Qualcosa, però, la devo pure scrivere su questa donna. Qualcuno non la conosce, e forse vuole sapere. Allora devo lasciare il giusto spazio alla curiosità umana.
Del suo paese di origine non so nulla. Di Colleferro conosco solo l’uscita sull’autostrada per Roma, nient’altro. Barbara parla della sua infanzia e della sua adolescenza nel libro che è stato presentato a Matera. Ma non è questa la parte più interessante della vita di Barbara. La sua vita inizia a complicarsi, a farsi dura, dopo la maggiore età. Roma, 1968. Gli studenti occupano le facoltà. Manifestano per strada. Gli scontri con la polizia diventano sempre più violenti. La vedi correre di qua e di là questa piccola ed esile ragazza. La immagino bella e forte Barbara, vestita con la leggerezza dei suoi vent’anni. Decisa. La faccia rotonda, dove sono ben piantati occhi profondi, che si muovono in ogni direzione. Poi la storia si ingarbuglia. Le stanno stretti i movimenti studenteschi. La sua rivoluzione interna era ben altra cosa. La sua voglia di cambiare il mondo non poteva essere contenuta entro quegli slogan. C’era bisogno d’altro. Allora le Brigate Rosse, cercate, volute, stanate. Gli anni grigi di piombo, del terrore, delle ipocrisie politiche, la cesura netta tra padri e figli. Lei, la guerriera, non si sottraeva a nulla. La immagino piena di fervore durante le riunioni clandestine. Sguardo sempre teso, ma pronta a sorrisi luminosi. Ora il film della sua vita si sofferma su una inquadratura fissa, fotogrammi che durano minuti interminabili. La mattina del 16 marzo 1978 a Roma tutto sembra normale. Un giovedì lavorativo come gli altri. Il cielo è sereno. All’incrocio tra via Fani e via Stresa Barbara resta in attesa, con in braccio l’arma. Sente i colpi delle armi dei suoi compagni. Non vede nulla. Sa solo che l’agguato e il rapimento di Aldo Moro si è concluso. Silenziosa e carica di adrenalina se ne va sola.
Mi si asciuga la gola e comincio, con il cuore in tumulto, ad aspettare. So già che finché tutto non avrà inizio non riuscirò a ritrovare la piena padronanza dei miei nervi.
Passeranno di qua? Riuscirà la manovra studiata per bloccarli? E tutto il resto?...
Ci siamo. Vedo la nostra macchina scendere su via Fani con dietro le altre due. Mi preparo a prendere posto in mezzo all’incrocio e, al primo sparo, tiro fuori la mia arma. Debbo bloccare il flusso delle macchine per tenere la strada libera alla nostra via di fuga e impedire qualsiasi intervento indesiderato. Guardo in un’altra direzione e perciò non vedo cosa sta succedendo a pochi passi da me.
Quello che sento è però abbastanza per immaginare.
[…]
Fatto. Ci siamo tutti? Tutti. Con in più il nostro prigioniero.
Lo rivedo per un attimo mentre gli altri lo caricano su un pulmino. Io prendo un’altra direzione. Da ultimo, il sorriso di saluto di un compagno che, in quell’inferno, sembra così contento di aver trovato il modo di regalarmelo.” (da B. Balzerani, Compagna Luna, DerivaApprodi 2013, pp. 72-73)

Gli anni si susseguono. Altre azioni. Poi gli arresti dei compagni. Infine il suo nel 1985. L’inizio di una nuova vita, lunga 25 anni. La vita del carcere, della solitudine, dei ricordi e della scrittura.
Oggi Barbara è una donna libera. Ti regala sorrisi in continuazione. I suoi abbracci sono calorosi e ti danno senso di pace. Ma se ti soffermi e ti immergi nei suoi occhi ti puoi perdere.
La prima volta che la vidi a Matera era il 2009. Ho un ricordo della serata, ma quello di lei è labile. La rivedo nel 2011. Un altro libro da presentare. Questa volta vengo chiamato in causa per leggere un pagina. Scambio qualche parola. Poche per comprenderla. La trovo distante da tutto. Ma è solo una mia sensazione deformata.
Anche quest’anno, immancabilmente, Barbara ritorna a Matera. Barbara e Matera, un binomio indissolubile. Perche? Difficile trovare una spiegazione. Forse perché Matera ti entra dentro, con la forza della pietra, della natura che ancora cerca di essere protagonista. Ma questa città fa binomio con tante altre persone. Con chi è solo di  passaggio e con chi ne è rimasto impigliato, come me.
Quando arriva ci abbracciamo. Mi ero chiesto se si sarebbe ricordata di me. La prima sera si cena al Falco Grillaio, da Paolo. In via Ridola sciamano ragazzi, ignari che, a pochi passi, ad un tavolo della pizzeria, è seduta un pezzo della memoria storica del nostro paese. Mi chiedo se sanno cosa è successo nel 1978, chi sono le BR, chi è Barbara. Sono solo domande oziose.
Mi ritrovo a fine serata a parlare con lei di carcere. Le racconto della mia recente esperienza all’interno del carcere di Matera, dove ho svolto un progetto (vedi i post “Lezioni di legalità nel carcere di Matera 1, 2, 3”). Dopo qualche minuto mi rendo conto di quanto ingenuo sia. Posso affrontare questo argomento con chi ha passato un quarto di secolo in carcere? Non posso nemmeno immaginare. Vorrei fermarmi, cambiare discorso. Mi stupisco, invece, della semplicità con la quale Barbara affronta l’argomento. Non ha nessun atteggiamento di sussiego. Mi ascolta invece. Mi incoraggia nel continuare tali progetti. So bene, che dietro ogni sua singola parola c’è un romanzo intero. Ma la sua semplicità è disarmante.
La notte è fredda in questo fine giugno. Via Ridola si è svuotata. I pensieri già corrono alla serata di domani quando presenteremo il suo libro.   

Adele, Piero e Pasquale (foto di Andrea Semplici)
Siamo tutti pronti. Si può iniziare. La chiesa di Santa Maria de Armenis ci fa da scenografia. Piero e Pasquale sistemano gli strumenti. Adele si prepara a cantare. La piccola piazzetta si riempie. Sto attento ad ogni particolare. L’introduzione di Mimmo Sammartino scivola piacevolmente. La voce di Adele si diffonde nell’aria dei Sassi. La mia concentrazione su tutto quello che avviene inizia a vacillare. Lentamente si fa strada l’ansia per lo spettacolo che farò dopo la presentazione. È una serata strana. Non sarei in grado di descriverla pienamente. Non ricordo bene né le parole di Barbara, né quelle di Sammartino. Ho bene in mente però il volto di Barbara nel momento in cui Adele inizia ad intonare la canzone che per lei ha scritto Erri De Luca, Ballata per una prigioniera. Allora lo sguardo di Barbara inizia ad andare lontano. I suoi occhi si perdono. Dice, commossa, che quello è stato un colpo basso. Troppa emozione, non solo per lei.   
La gente sta in silenzio ad ascoltare. Solo i bambini continuano nei loro giochi incuranti di tutto. La presentazione si conclude con le voci di Adele e Piero che si intrecciano, si rincorrono, cantando la versione dell’Internazionale di Fortini. Tra qualche minuto inizierà il mio spettacolo sull’antimafia. In prima fila si siede Barbara. Ora i ruoli si invertono.


So che ritornerà compagna luna in questa città. Noi l’attenderemo, perché guardare la luna è qualcosa che non stanca mai. 

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