Barbara Balzerani (foto di Andrea Semplici) |
Avrei
dovuto scrivere queste pagine qualche giorno fa, come si dice “a caldo”. Stranamente,
però, non sono proprio riuscito a buttare giù nemmeno una parola. Pensieri
tanti, invece. L’elaborazione sulla serata della presentazione del libro di
Barbara Balzerani, Compagna Luna, mi è risultata lenta e laboriosa. Non so bene
quello che voglio scrivere. Proseguendo sono convinto che le parole arriveranno.
La scrittura, a volte, assomiglia ad una diga crepata; le parole se ne stanno
ferme, sbarrate da una muraglia; ne escono poche dalla crepa. Ma più quelle
escono più la crepa si allarga e, in fine, la diga va in frantumi e le parole
travolgono ogni cosa. Lascio che la crepa si allarghi poco alla volta, senza
fretta.
Come
al solito non farò la recensione del libro. Non racconterò tutta la vita di
Barbara Balzerani, non ne ho le competenze, ed è più facile trovare la sua
biografia su internet o su tanti libri. Troppo famosa, troppo citata, troppo
lunga e importante la sua vita per poterne fare un riassunto impacciato e
scarno.
Qualcosa,
però, la devo pure scrivere su questa donna. Qualcuno non la conosce, e forse
vuole sapere. Allora devo lasciare il giusto spazio alla curiosità umana.
Del
suo paese di origine non so nulla. Di Colleferro conosco solo l’uscita
sull’autostrada per Roma, nient’altro. Barbara parla della sua infanzia e della
sua adolescenza nel libro che è stato presentato a Matera. Ma non è questa la
parte più interessante della vita di Barbara. La sua vita inizia a complicarsi,
a farsi dura, dopo la maggiore età. Roma, 1968. Gli studenti occupano le
facoltà. Manifestano per strada. Gli scontri con la polizia diventano sempre
più violenti. La vedi correre di qua e di là questa piccola ed esile ragazza.
La immagino bella e forte Barbara, vestita con la leggerezza dei suoi vent’anni.
Decisa. La faccia rotonda, dove sono ben piantati occhi profondi, che si
muovono in ogni direzione. Poi la storia si ingarbuglia. Le stanno stretti i
movimenti studenteschi. La sua rivoluzione interna era ben altra cosa. La sua
voglia di cambiare il mondo non poteva essere contenuta entro quegli slogan.
C’era bisogno d’altro. Allora le Brigate Rosse, cercate, volute, stanate. Gli
anni grigi di piombo, del terrore, delle ipocrisie politiche, la cesura netta
tra padri e figli. Lei, la guerriera, non si sottraeva a nulla. La immagino piena
di fervore durante le riunioni clandestine. Sguardo sempre teso, ma pronta a
sorrisi luminosi. Ora il film della sua vita si sofferma su una inquadratura
fissa, fotogrammi che durano minuti interminabili. La mattina del 16 marzo 1978 a Roma tutto
sembra normale. Un giovedì lavorativo come gli altri. Il cielo è sereno. All’incrocio
tra via Fani e via Stresa Barbara resta in attesa, con in braccio l’arma. Sente
i colpi delle armi dei suoi compagni. Non vede nulla. Sa solo che l’agguato e
il rapimento di Aldo Moro si è concluso. Silenziosa e carica di adrenalina se ne va
sola.
“Mi si asciuga la gola e comincio, con il
cuore in tumulto, ad aspettare. So già che finché tutto non avrà inizio non
riuscirò a ritrovare la piena padronanza dei miei nervi.
Passeranno di qua? Riuscirà la
manovra studiata per bloccarli? E tutto il resto?...
Ci siamo. Vedo la nostra
macchina scendere su via Fani con dietro le altre due. Mi preparo a prendere
posto in mezzo all’incrocio e, al primo sparo, tiro fuori la mia arma. Debbo
bloccare il flusso delle macchine per tenere la strada libera alla nostra via
di fuga e impedire qualsiasi intervento indesiderato. Guardo in un’altra
direzione e perciò non vedo cosa sta succedendo a pochi passi da me.
Quello che sento è però
abbastanza per immaginare.
[…]
Fatto. Ci siamo tutti? Tutti. Con
in più il nostro prigioniero.
Lo rivedo per un attimo mentre
gli altri lo caricano su un pulmino. Io prendo un’altra direzione. Da ultimo,
il sorriso di saluto di un compagno che, in quell’inferno, sembra così contento
di aver trovato il modo di regalarmelo.” (da B. Balzerani, Compagna Luna, DerivaApprodi
2013, pp. 72-73)
Gli
anni si susseguono. Altre azioni. Poi gli arresti dei compagni. Infine il suo
nel 1985. L’inizio di una nuova vita, lunga 25 anni. La vita del carcere, della
solitudine, dei ricordi e della scrittura.
Oggi
Barbara è una donna libera. Ti regala sorrisi in continuazione. I suoi abbracci
sono calorosi e ti danno senso di pace. Ma se ti soffermi e ti immergi nei suoi
occhi ti puoi perdere.
La
prima volta che la vidi a Matera era il 2009. Ho un ricordo della serata, ma
quello di lei è labile. La rivedo nel 2011. Un altro libro da presentare.
Questa volta vengo chiamato in causa per leggere un pagina. Scambio qualche
parola. Poche per comprenderla. La trovo distante da tutto. Ma è solo una mia
sensazione deformata.
Anche
quest’anno, immancabilmente, Barbara ritorna a Matera. Barbara e Matera, un
binomio indissolubile. Perche? Difficile trovare una spiegazione. Forse perché
Matera ti entra dentro, con la forza della pietra, della natura che ancora
cerca di essere protagonista. Ma questa città fa binomio con tante altre
persone. Con chi è solo di passaggio e con
chi ne è rimasto impigliato, come me.
Quando
arriva ci abbracciamo. Mi ero chiesto se si sarebbe ricordata di me. La prima
sera si cena al Falco Grillaio, da Paolo. In via Ridola sciamano ragazzi,
ignari che, a pochi passi, ad un tavolo della pizzeria, è seduta un pezzo della
memoria storica del nostro paese. Mi chiedo se sanno cosa è successo nel 1978,
chi sono le BR, chi è Barbara. Sono solo domande oziose.
Mi
ritrovo a fine serata a parlare con lei di carcere. Le racconto della
mia recente esperienza all’interno del carcere di Matera, dove ho svolto un
progetto (vedi i post “Lezioni di legalità nel carcere di Matera 1, 2, 3”). Dopo qualche minuto mi
rendo conto di quanto ingenuo sia. Posso affrontare questo argomento con chi ha
passato un quarto di secolo in carcere? Non posso nemmeno immaginare. Vorrei fermarmi, cambiare discorso. Mi
stupisco, invece, della semplicità con la quale Barbara affronta l’argomento. Non
ha nessun atteggiamento di sussiego. Mi ascolta invece. Mi incoraggia nel
continuare tali progetti. So bene, che dietro ogni sua singola parola c’è un
romanzo intero. Ma la sua semplicità è disarmante.
La
notte è fredda in questo fine giugno. Via Ridola si è svuotata. I pensieri già
corrono alla serata di domani quando presenteremo il suo libro.
Siamo
tutti pronti. Si può iniziare. La chiesa di Santa Maria de Armenis ci fa da
scenografia. Piero e Pasquale sistemano gli strumenti. Adele si prepara a
cantare. La piccola piazzetta si riempie. Sto attento ad ogni particolare. L’introduzione
di Mimmo Sammartino scivola piacevolmente. La voce di Adele si diffonde
nell’aria dei Sassi. La mia concentrazione su tutto quello che avviene inizia a
vacillare. Lentamente si fa strada l’ansia per lo spettacolo che farò dopo la
presentazione. È una serata strana. Non sarei in grado di descriverla
pienamente. Non ricordo bene né le parole di Barbara, né quelle di Sammartino. Ho bene
in mente però il volto di Barbara nel momento in cui Adele inizia ad intonare la canzone
che per lei ha scritto Erri De Luca, Ballata
per una prigioniera. Allora lo sguardo di Barbara inizia ad andare lontano.
I suoi occhi si perdono. Dice, commossa, che quello è stato un colpo basso.
Troppa emozione, non solo per lei.
La
gente sta in silenzio ad ascoltare. Solo i bambini continuano nei loro giochi
incuranti di tutto. La presentazione si conclude con le voci di Adele e Piero
che si intrecciano, si rincorrono, cantando la versione dell’Internazionale di
Fortini. Tra qualche minuto inizierà il mio spettacolo sull’antimafia. In prima
fila si siede Barbara. Ora i ruoli si invertono.
So
che ritornerà compagna luna in questa città. Noi l’attenderemo, perché guardare
la luna è qualcosa che non stanca mai.
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