Via delle Beccherie |
La costruzione di vite
che avremmo potuto vivere è un gioco diabolico. In un primo momento ci sentiamo
bene. In fondo il sogno è condizione neccessaria per l'uomo. Ma immaginare
forzatamente ciò che non potrà mai avvenire è una sorta di masochismo psichico,
che ci auto-infliggiamo volontariamente, e non si sa bene perché.
A cosa serve questa premessa? A nulla credo. Serve a me. Perché per troppi anni ho lasciato che il rammarico e la nostalgia facessero ciò che volevano. Da un po' di tempo però qualcosa è cambiata. La nostalgia è scemata. Il rammarico per tutto ciò che non sono riuscito a realizzare è come scomparso. Lascio così che il tempo passato si sciolga lentamente, come grani grossi di sale, consapevole che il suo sapore amarognolo resterà. Ma è un sapore meno forte, più sopportabile.
Quanti millenni sono
passati da quando ho elevato Matera a mia nuova casa? Se li conto
rimangono ancora libere tre dita della mano destra. Una volta ho
scritto, prendendo a prestito una frase di Freud, che guardando Matera per la
prima volta si rimane folgorati, subendo uno "straniamento". Sembra
di conoscerla da sempre. Come un'idea platonica essa è sempre stata dentro di
noi, forse ben nascosta, ma c'è sempre stata. Osservandola dalla parte della
Murgia, non si riesce a capire come si componga questa città costruita al
negativo. Centinaia di scalette come tante rughe delineano il contorno delle
case che si agglutinano le une sulle altre senza soluzione di continuità. Una
muraglia di abitazioni senza una razionalità urbanistica apparente. Una città,
quella antica composta dai sassi e dalla civita, che assomiglia piuttosto ad un
unico blocco tufaceo, sul quale un gigante si è divertito ad intagliare e
bucare.
Quante cose avrei
potuto fare a Matera. Ecco come la premessa iniziale ritorna. Ma se non avessi
percorso alcune strade rispetto ad altre che, una volta imboccate, ho creduto
sbagliate, non riesco ad immaginare dove sarei in questo momento. La domanda
che ora mi pongo è: va bene questo mio presente? Non voglio dare
necessariamente una risposta. Posso solo dire che mi è quasi comodo. Mi ci sono
seduto, e mi va bene.
Con quale aspettativa
sono approdato nella città dei Sassi? Con nessuna in particolare. Sono venuto
per continuare gli studi di archeologia, e per i primi due anni è stato così.
Matera non mi era simpatica, e per un certo periodo ho pensato che anch'io non
fossi simpatico a lei. La trovavo troppo meridionale, molto più della mia
Palermo, troppo piccola, troppo indolente. I suoi abitanti lenti e sonnolenti,
a volte poco cortesi, sfuggenti come ramarri; occhi che non hanno visto mai il
mare, intrisi soltanto di pietre e terra. Il loro confine è costituito dal
pianoro della Murgia, che li circonda come il deserto dei tartari; ma qui i
tartari sono ben diversi. Io sono uno dei tartari che è giunto in questa
fortezza di pietra. Come me tanti altri tartari hanno invaso questa città; ma
più che invasori siamo stati noi ed essere conquistati. E' una bella trappola
Matera, quasi sfuggente allo sguardo. Non ti accorgi nemmeno di essere entrato
nelle sue maglie. Ti ritrovi imbrigliato senza ricordare come e quando. Infine
credi di stare in questo luogo da centinaia di anni, aspettando anche tu
l'arrivo dei tartari.
Ora me ne sto a milioni
di anni luce da quei miei sogni giovanili, seduto all'interno della bottega del
commercio equo e solidale. Una bottega che suona strana in questa città. Perché
la si vuol credere a tutti i costi troppo provinciale, quando, in fondo, è un
vestito che le va stretto. Non c'è nulla di realmente provinciale a Matera.
Forse è lei stessa, o soltanto una parte dei suoi abitanti, che vuole
dipingersi così: per paura di non essere all'altezza delle aspettative, per
paura di una invasione esagerata di altri tartari, ché bastano quelli che ci
sono, ed altri la soffocherebbero. Ma non credo che sia così. C'è certamente
qualcosa che mi sfugge.
Questa bottega, dove me
ne sto a scrivere, non è l'unica "nota stonata" in questa
città. Di strane dissonanze ne trovi un po' ovunque.
Mammaliturchi: la kebaberia |
La bottega Loe |
Raffaele mentre crea |
Ce ne stiamo in questo
pezzo di strada a contemplare, ad aspettare, a parlare di quasi tutto e forse
proprio di niente, solo perché il tempo deve pur passare in qualche modo.
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