Credo
sia quasi ossimorico dire legalità in carcere. Ma non è proprio vero. La legalità
in carcere è un concetto che si conosce bene. Chi sta in carcere, ci è entrato
proprio perché conosce bene il limite tra illegalità e legalità.
Noi ci
siamo entrati come degli alieni. Pensavamo di potere insegnare qualcosa. Alla fine
siamo stati educati noi. Non proprio inaspettatamente. Forse me lo immaginavo.
ingresso al carcere: foto tratta dawww.sassilive.it |
Quando
mi hanno chiedo di portare il mio spettacolo “La terra delle arance. Canti e cunti dell’antimafia sociale” all’interno
del carcere, esternamente non ho fatto una piega. Non volevo che si mostrassero
sul mio volto le perplessità che mi nascevano dentro. Uno spettacolo che narra
le vicende di chi è morto per combattere la criminalità come può incontrare i
favori di un pubblico formato da detenuti? Questo, più o meno, è stato il mio
pensiero. Il pensiero è svanito quasi subito. Allora è subentrata la
consapevolezza che ciò che stavo realizzando era qualcosa di veramente
importante.
Ma
prima di presentare, così nudo e crudo, lo spettacolo, era necessario preparare
i detenuti. Era necessario fare degli incontri. E così è stato. Tre incontri
con i ragazzi che frequentano la scuola superiore all’interno del carcere prima
dello spettacolo, ed altri cinque dopo lo spettacolo.
E così
ad aprile del 2013 ha inizio il Progetto
Legalità. Decidono questo titolo gli educatori che si occupano
quotidianamente dei detenuti.
Entrare in carcere è una azione difficile. Sei radiografato. Il visitatore deve essere completamente incensurato. Questo mi ha fatto sorride. Un controsenso della razionalità umana. All’ingresso incontri la prima guardia che ti osserva in modo strano. Chi sei, cosa fai, cosa vuoi. Domande consuete. Domande che le guardie forse ripetono centinaia di volte al giorno. E dopo aver visionato la carta d’identità, la targa della macchina, verificato che il tuo nome si trovi nella loro lista di visitatori, hai tutte le carte in regola per entrare. Inizia allora il percorso dei cancelli e delle enormi chiavi d’ottone, che le guardie non abbandonano mai, sembrano incollate alle loro mani. L’anticamera che divide il mondo “normale” da quello della “repressione”, è un’altra sosta. Altre guardie che rifanno le stesse domande della prima. Prima di entrare lasci tutto. Telefonini, borse, carta d’identità. Quasi entri nudo. Non siamo più abituati a rimanere senza il nostro legame con il mondo. I cancelli si aprono e si chiudono rumorosamente. Uno dietro l’altro. Almeno cinque cancelli prima di arrivare all’interno della classe dove i detenuti ci aspettano. Il mondo fuori è stato chiuso da cancelli spessi e pesanti.
Tanti occhi
ti guardano pieni di curiosità. Occhi nerissimi e occhi chiarissimi. Neri e
bianchi in un’unica classe. Entriamo e incontriamo subito i professori che insegnano
in questa strana scuola e la guardia che starà sempre con noi. Un omone con
grandi mani, occhi piccoli e sguardo malinconico. Nei suoi occhi leggo subito
il legame che ha con i detenuti. I tre
professori sono simpatici e pieni di sorrisi. Savino è da più di vent’anni che
vieni qui ad insegnare, ma non è stanco. Liliana è la più combattiva. Una donna
minuta, con delle mani ossute che raccontano tutti i suoi anni di insegnante,
mani che hanno toccato cattedre di mezza Italia. Anche se ormai sono passati
più di dieci anni da quando ha iniziato ad insegnare in questa strana scuola, è
come se fosse sempre il primo giorno. Nelle sue parole ci sono inflessioni
rivoluzionarie. Claudia è la più giovani. Ha sempre il sorriso nel volto. Più che
un’insegnante assomiglia piuttosto ad una studentessa universitaria. Con tutta
la voglia di divertirsi con i suoi compagni di corso. Claudia è ammirata dai
detenuti. Si percepisce tra di loro una sintonia uguale a quella che c’è in una
compagnia di amici. Scherzi, sorrisi, battute.
Ancora
non riesco ad avvicinarmi ai ragazzi. Il problema è mio forse. Li scruto. Loro
scrutano me, naturalmente. Ci stiamo studiando.
Il primo
incontro prevede la visione del film Placido
Rizzotto. Le finestre dell’aula non possono essere del tutto oscurate. È il
regolamento.
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