Troppo spesso durante la giornata si parla della crisi
economica che ci sta distruggendo, dell’inettitudine dei governi, dei complotti
mondiali perpetrati dalle banche e dai ricchi. Sono sempre le stesse frasi. Poi,
dimentichi di tutto, ritorniamo alle nostre occupazione, alla nostra vita. Come
interpretare questo atteggiamento? Forse è solo un’autodifesa. O forse non vogliamo
che la situazione cambi, perché perderemmo la nostra comodità; in fondo, non
credo che si possa affermare di annegare nella vera disperazione. Perché queste
parole? Perché ieri Massimo Tennenini, antropologo e fotografo, ha portato un
pezzo di Chiapas a Matera. Attraverso le sue foto ci ha raccontato la forza e
la disperazione di quel popolo, antico e nobile, che combatte giorno per giorno
per la propria dignità e per costruire un proprio mondo diverso dal resto.
Allora la piccola e quotidiana realtà che ci circonda diventa un po’ più nitida
e meno protagonista. C’è un mondo vasto là fuori. A volte lo dimentichiamo,
volutamente forse, ma esiste, si muove, combatte, soffre, soccombe.
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"Donna si sottopone al rito della purificazione"- Citta del Messico 2003 (foto di Massimo Tennenini) |
Massimo Tennenini si presenta con uno sguardo timido.
Parliamo un po’. Porta sotto braccio le stampe di alcune sue foto. Ne ha
portate tante per l’allestimento della mostra che si svolge giù nei Sassi, in
una galleria d’arte. Nel pomeriggio, all’interno della Bottega del commercio
Equo e solidale, è prevista una proiezione di alcune sue foto, e un classico
“incontro con l’autore”. Lui vorrebbe che esponessimo anche qui alcune stampe. Naturalmente
ne sono contento. Con dita sapienti e riservate prende una ad una le foto e me
le mostra. Succede qualcosa. Può sembrare romanzesco o stucchevole, ma ho avuto
la sensazione che tutto si trasformasse attorno a me. Non so se il magnetismo
degli occhi di una ragazzina combattente dell’esercito zapatista, o l’infinità
melanconica del deserto di Atacama.
Qualcosa di certo ha alterato, almeno per
qualche istante, il mio mondo. Gli rivolgo un serie di domande. Sono curioso. E
quando mi dice di avere incontrato diverse volte Marcos, sgrano gli occhi. Ho
cercato di tenere a freno il mio entusiasmo, per non sembrare troppo infantile.
Il sub comandante per me è stato un mito indiscusso alla fine degli anni
novanta. Era il nostro Che Guevara. Noi, che negli anni sessanta non c’eravamo,
e che solo per riflesso abbiamo conosciuto e amato il Che. Noi avevamo Marcos.
Quest’uomo che si presentava al mondo con il volto coperto da un passamontagna,
con al polso un orologio sportivo smaccatamente occidentale e in bocca la pipa. Io incalzo Massimo. Pongo domande su Marcos. Lui quasi mi
blocca. Mi dice che il suo principale interesse sono state le donne zapatiste,
il loro ruolo all’interno della rivoluzione. Un ruolo che è stato stravolto. Mi
è subito venuto in mente il ruolo delle donne nella rivoluzione cubana,
tutt’altra storia. Per gli zapatisti non c’è differenza tra uomini e donne.
Anche le donne hanno ruoli di alta responsabilità. Diventano anche loro
comandanti. E si arriva al bel “paradosso”, come ci ha raccontato Massimo, di
trovare una donna comandante del proprio marito, “ridotto” alla condizione di
soldato semplice. Sono le sorprese di una rivoluzione diversa. Difficile da
paragonare ad altre, nemmeno alla vicina rivoluzione cubana.
Le foto si susseguono una dopo l’altro. Aspettiamo l’arrivo
delle persone. Si presentano un paio di amici. Inizia anche a piovere. Ormai
siamo consapevoli che non verrà più nessuno. Mi dispiace un po’. Massimo invece
non è per niente deluso o preoccupato dall’assenza di pubblico. Inizia il suo
racconto. La sua sembra una storia d’amore con il Chiapas e con le popolazioni
indigene. Un innamoramento che è iniziato quasi vent’anni fa. L’ha vista
nascere la rivoluzione, l’ha seguita con il suo occhio attento, l’ha
immortalata nelle foto. E ce ne fa dono. Un dono prezioso.
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"Esercito zapatista in rivolta" - Selva Lacandona - Chiapas, Messico 1994 (foto di Massimo Tennenini) |
Le immagini hanno un contrasto forte. Da una parte i
combattenti zapatisti. Donne e uomini giovanissimi, con i fucili in mano, il
volto coperto dai fazzoletti o dai passamontagna. Gli sguardi sono seri. Chissà
però i loro pensieri. Dall’altra parte le immagini di una cultura che fonda le
propri radici nella millenaria storia dei Maya. Il volto di uno sciamano intento
in un rito sacro ha la potenza di una sapienza antica e difficile da
interpretare.
Non posso dare giudizi tecnici sulle foto. Non conosco la
terminologia adatta per descrivere la meraviglia della scala dei grigi, la
bellezza di certi particolari, il chiaro scuro dei paesaggi. Forse è un mio
limite, ma è davvero difficile riuscire a descrivere una foto, soprattutto
quando i soggetti sono uomini e donne. Non ci proverò nemmeno. Da ognuna di
queste foto se ne potrebbe ricavare un romanzo intero, perché esse rappresentano
unici istanti di vite e storie.
C’è una foto, però, che ha immediatamente catalizzato la
mia attenzione. E non posso non descriverla. Massimo la intitola “Ragazza Maya
–Chiapas”, tutto qui. Non dice nient’altro. Sta a noi immaginare. È giovane,
una bambina. È poggiata a una struttura di legno. Con un fazzoletto stretto
alle mani si copre la bocca. Sembra che non guardi l’obiettivo. Ma sa che
Massimo la sta fotografando. E forse proprio per questo copre la bocca. Probabilmente
le manca un dente o forse crede di avere labbra troppo grosse. Gli occhi hanno
dentro tutta la storia di un popolo fiero, pieno di bellezza e di sofferenza. Voglio
immaginare questa ragazza maya, dopo lo scatto, esplodere in un sorriso
bellissimo.
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Le foto di Massimo Tennenini all'interno della Bottega Loe - Matera 2013. |
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